giovedì 10 agosto 2017

PORCELAIN di Moby

Trama 5/5: Se c'era uno che difficilmente avrebbe potuto sfondare come DJ e musicista nei club newyorkesi a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta, quello era Moby. Era la New York del Palladium, del Mars, del Limelight e del Twilo, un'epoca edonistica e sfrenata in cui la dance era ancora un fenomeno underground, radicato soprattutto nella comunità operaia afroamericana e latinoamericana. E poi c'era Moby, che oltre a essere un ragazzino bianco pelle e ossa proveniente dal cuore del Connecticut era un cristiano devoto, vegano e astemio. Non senza complicazioni, Moby trovò la sua strada, una strada accidentata e lastricata di eccessi sciagurati - ma, col senno di poi, anche spassosi - che lo avrebbe portato a un successo quanto mai effimero. Ecco perché sul volgere del decennio Moby contemplava già la fine, della carriera come di altre dimensioni della sua vita, una sensazione che incanalò in quello che pensava sarebbe stato il suo canto il suo addio, l'album che in realtà era destinato a segnare l'inizio di una nuova e sbalorditiva fase, il mega-bestseller "Play". Generoso quanto inesorabile nel raccontare un mondo perduto e il ruolo che vi ricopre il suo protagonista, "Porcelain" è al contempo il ritratto di una città e di un'epoca e una riflessione sul momento più carico d'ansia della vita di ciascuno di noi, quello in cui siamo soli e scommettiamo su noi stessi senza avere la minima idea di come andrà a finire, con il terrore di essere a un passo dal venire scaraventati fuori dalla porta.

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Quando penso a Moby mi viene in mente il film Alta Fedeltà, il commesso timido ansioso e pelatino interpretato dall'attore Todd Louiso... Io e Moby non siamo proprio coetanei, abbiamo 12 anni di differenza, ma la musica anni 90 che nomina in tutto il suo libro, beh io la conosco, l'ho ballata fino allo sfinimento, era l'epoca in cui adoravo trasgredire, io e la mia amica bazzicavamo tutte le settimane le disco le feste, i rave un po' meno... abbiamo bevuto e fumato fino a stare male, ma non siamo andate più in là con le droghe, forse non ne abbiamo mai avuto il coraggio, o forse più semplicemente ci bastava qualcosa da bere per divertirci tanto e non ci serviva un divertimento più pilotato e catatonico...
Beata gioventù!
Comunque, è bello leggere Moby, è stato un tuffo nel mio passato ed è stato un bel passeggiare tra le avventure della sua vita. A me Moby piace proprio tanto... fossimo stati più vicini avrei potuto innamorarmene ma lo amo anche da oltre oceano, i suoi cd li ho consumati, quanto meno gli ultimi della sua carriera.
E lui beh, tra le righe io l'ho percepito una persona normalissima, avrebbe potuto essere uno di noi, anche verso la fine del libro, non ho avuto la sensazione che il successo in qualche modo lo abbia reso più fighetto, a me lui sembra genuino, buono, dolce, genio e pazzo in modo più o meno costante.
Lui è stato anche uno dei primi vegani, quando io ancora non sapevo nemmeno che esistessero i vegani, e ha bevuto l'impossibile, ed è stato povero, e ha vissuto in postacci che nemmeno a passarci davanti...
Lui è uno vero, ecco, lui non è solo famoso, lui è stato tante cose prima, e il suo essere famoso pur essendo indiscutibile, è marginale.
Passeggiare con lui per le vie di New York è stato un viaggio entusiasmante, che lui mi ha permesso di fare tenendomi per mano, aiutandomi a capire per quanto possibile un po' della sua poesia e genialità... Grazie Moby, ti porto con me :)

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