venerdì 11 agosto 2017

NEVE, CANE, PIEDE di Claudio Morandini


Trama 3/5: Il romanzo è ambientato in un vallone isolato delle Alpi. Vi si aggira un vecchio scontroso e smemorato, Adelmo Farandola, che la solitudine ha reso allucinato: accanto a lui, un cane petulante e chiacchierone che gli fa da spalla comica, qualche altro animale, un giovane guardiacaccia che si preoccupa per lui, poco altro. La vita di Adelmo scorrerebbe scandita dai cambiamenti stagionali, tra estati passate a isolarsi nel bivacco sperduto e inverni di buio e deliri nella baita ricoperta da metri di neve, se un giorno di primavera, nel corso del disgelo, Adelmo non vedesse spuntare un piede umano dal fronte di una delle tante valanghe che si abbattono sulla vallata. "Neve, cane, piede" si ispira a certi romanzi di montagna della letteratura svizzera, in particolare a quelli di Charles-Ferdinand Ramuz, o alle opere ancora più aspre di certi autori di lingua romancia, come Arno Camenisch. Leo Tuor o Oscar Peer: vi si racconta una vita in montagna fatta di durezza, di fatica, di ferocia anche, senza accomodamenti bucolici. Nell'ambiente immenso, ostile e terribile della montagna, il racconto dell'isolamento dell'uomo, del ripetersi dei suoi gesti e dell'ostinazione dei suoi pensieri e reso dalla descrizione minuziosamente realistica che a volte si carica anche di toni grotteschi e caricaturali, soprattutto nei dialoghi tra uomo e animali, questi ultimi dotati di loquacità assai sviluppata.

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Che libro difficile... Sono pensierosa...
Non è facile definire questa storia e nemmeno a che categoria possa appartenere.
Non è un libro di montagna, nonostante sia ambientato in montagna. Non è ben specificato dove, quindi ognuno può immaginare il posto che preferisce, a me per esempio sono venute in mente a tratti le mie care Dolomiti e a tratti qualche monte piuttosto aspro delle montagne friulane. Mi ha ricordato un passato in cui le montagne erano il mio rifugio sicuro, dove passavo intere stagioni in solitudine e con unici compagni di viaggio i libri proprio come il protagonista Adelmo Farandola che ha imparato ad apprezzare la solitudine delle grotte di alta montagna all'epoca della seconda guerra mondiale. Mi ha ricordato il silenzio che si sente in montagna, il silenzio delle persone e le grida fortissime della natura, e credo che ad un certo punto la solitudine sia accompagnata da una punta di follia e allora cominci a parlare con gli animali e la natura assume una connotazione molto diversa.
D'altra parte però nonostante queste sensazioni per me siano un bellissimo ricordo, mi rammarica che questo libro non mi abbiamo emozionato più di tanto. Nel senso che non mi sono sentita in perfetta sintonia ne con Adelmo ne con il cane ne con i suoi vuoti di memoria, alla fine non mi sono affezionata a lui che forse era l'obiettivo...
Boh è un libro strano ecco... magari tra qualche giorno cambio idea e a ripensarci mi viene in mente qualcos'altro...
La conclusione invece scritta dall'autore che spiega come è nata questa storia mi è piaciuta molto di più.

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