giovedì 2 maggio 2013

LA NARICE DEL CONIGLIO di Paola Mastrocola

3/5 Trama: "Fu come usare una mossa segreta, tirar fuori un'abilità nascosta, un atout, la carta che il giocatore tiene all'ultimo e poi butta, con fierezza, sul tavolo vincendo tutte le puntate. Sornione, lui sa e gli altri no, lui pregusta quella mossa, il mondo ancora ignaro della catastrofe imminente."
Barbara Lope è una donna nel pieno della vita, ha un'attraente frangetta bionda, vestiti eleganti, un bel lavoro. Eppure ogni tanto sente come un peso, un fastidio acuto: a scuola era il compagno presuntuoso, al lavoro la collega arrivista, e poi le scarpe con il tacco a spillo, le serate mondane, i discorsi ufficiali, le cerimonie, i matrimoni... E quando le situazioni si fanno insopportabili, quando le sembra che le persone e i luoghi abbiano perso il senso di quello che sono realmente (se mai l'hanno posseduto), in Barbara scatta qualcosa, un piccolo movimento, un gesto minimo, di insofferenza... Sfrontato ? Scherzoso ? Provocatorio ? Non si può dire. Di certo si tratta di un impulso irresistibile, e Barbara non può trattenerlo. E' il suo modo di reagire alle assurdità, alle distorsioni. Forse il desiderio di trovare qualcuno che le somigli. Insomma fa quel gesto, e d'improvviso ciò che appariva così serio e importante perde consistenza, diventa aria, si dissolve.

Note:
PAG.25
Non sempre abbiamo la lucidità di fare la cosa giusta con le persone giuste, e così ci capita a volte di fare la cosa giusta con le persone sbagliate, o la cosa sbagliata con le persone giuste. Ci confondiamo. E causiamo sconquassi nell'universo circostante, a volte davvero minimi, come quando mettiamo un paio di calzini nel cassetto delle posate; a volte invece più corposi, come quando per esempio ci scappano dette, ahimé, alcune verità indicibili: insomma, sconquassi per i quali poi siamo costretti a passare mesi a chiedere scusa e a rimangiare parole per cercar di rimettere almeno un po', le cose quiete, com'erano.  
PAG.33
... guardava fuori dal finestrino sfrecciare i pali della luce alternati agli alberi. Alberi e pali, e noi veloci come razzi. Così è la vita, lei lo sapeva. E lasciava fare. Che le passasse pure davanti la sua collega rossa. Scalpitava, si vedeva che la vita le andava stretta. Non guardava mai dal finestrino, si perdeva tutto, i campi, le vacche al sole, i casolari imbiancati, le nuvole che disegnano animali o mostri o il volto di qualcuno caro che non c'è più. Peccato. La vita è sua. Ognuno scelga come preferisce che sia. Si tratta solo di scelte. Come per i portachiavi. 
PAG.38
Lei era una ragazza di città, le piacevano i tram che le sferragliavano sotto casa, i negozi, le luci dei lampioni, l'andirivieni della gente frettolosa per le strade, i clacson, le pozzanghere, l'odore di smog. Odiava la campagna e tutto quel verde. Troppo verde, troppi alberi, troppe foglie, che d'estate ingigantivano prendendosi ogni volta un pezzo di cielo in più; troppa erba che con i temporali continuava a crescere e disordinava la linea dell'orizzonte. 
PAG.54
Se ci soffermiamo a guardare, infatti, notiamo come tutto - il profilo di una casa, il lato della tovaglia che batte sulla gamba del tavolo, il mancorrente della scala a chiocciola, il filo della luce - tutto è una moltitudine di linee. Linee che si ricnorrono, si attraversano, s'intrecciano. E notiamo come sia difficile incontrare linee che a un certo punto non si spezzino. Forse è un intrico di linee spezzate, il mondo. 
PAG.69
Di lì a poco verrà notte, e il buio coprirà tutto, vanificherà qualsiasi cosa, giusta o sbagliata non importa, anche i gesti che uno non dovrebbe fare e invece fa, chissà perchè, in un momento senza pensarci, senza essere dentro a quel che sta facendo. Come una corda che ci hanno detto di tenere, e noi teniamo, ma poi ci interroghiamo: perché mai?, e cosa ne sarebbe se smettessimo di tenerla? Niente. E allora la molliamo, godendoci quell'attimo in cui lasciamo andare, i muscoli si stendono e se ne vanno altrove, in un posto che non abbiamo idea esista. E ci sembra d'improvviso che si sparga una risata intorno a noi, dirompa gigantesca e ci avvolga, proteggendoci alla vista degli altri mentre scappiamo via saltando da un cubetto all'altro del porfido, e ci prende a quei saltelli un'allegria così potente, che ci mettiamo a fare il gioco dei cantoni, sparendo e ricomparendo dietro le colonne, come se qualcuno ci volesse prendere.     

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