venerdì 30 agosto 2013

LA LUCINA di Antonio Moresco

4/5 Trama: Lontano da tutto, tra i boschi, in un vecchio borgo abbandonato e deserto, un uomo vive in totale solitudine. Ma un mistero turba il suo isolamento: ogni notte, sempre alla stessa ora, il buio è improvvisamente spezzato da una lucina che si accende sulla montagna, proprio di fronte alla sua casa di pietra. Cosa sarà? Un abitante di un altro paese disabitato? Un lampione dimenticato che si accende per qualche contatto elettrico? Un ufo? Un giorno l'uomo si spinge fino al punto da cui proviene la luce. Ad attenderlo trova un bambino, che vive anche lui solo in una casa nel bosco e sembra uscito da un'altra epoca o, davvero, da un altro pianeta. Nuove domande affollano la mente dell'uomo: chi è veramente quel bambino? E quale rapporto li lega? Lo scopriremo a poco a poco, avvicinandoci sempre più al cuore segreto di questa storia terribile e lieve, fino all'inaspettato finale. Con questo suo "piccolo principe", Antonio Moresco mette in scena una meditazione commossa sul senso dell'universo e della vita. In un dialogo continuo con gli esseri che popolano i boschi, radici aeree, alberi, lucciole, rondini, Moresco come Leopardi riflette sulla solitudine e il dolore dell'esistenza, ma anche su ciò che lega uomini e animali, vivi e morti. 

E' il primo libro di Moresco che leggo. Avevo letto delle recensioni ad altri libri e andando in biblioteca mi è capitato questo tra le mani.
Non so se sia questo il suo genere, per tutti i libri intendo, ma questa piccola perla l'ho veramente assaporata e apprezzata.
Il protagonista mi ricordava un po' mio papà, quando diceva che avrebbe voluto invecchiare tra i monti, in mezzo alla natura e con il minimo indispensabile.
L'ambientazione mi ha dato quella ventata di aria frizzante che solo la montagna è in grado di darti.
E la storia gotica è stata suggestiva, tenera quasi dolce, di spettrale non c'era nulla.

Note
PAG.133
Erano loro che riempivano i calamai con dei pezzi di carta assorbente, per farlo asciugare più in fretta, perché si divertivano a vedermi arrivare con quella caraffa di latta per riempirli di nuovo. Intingevano i pennini in quella poltiglia di inchiostro e di carta assorbente, restavano sempre quei peluzzi nelle parole che scrivevano sui quadernoi, cercavano di tirarli via con le dita prima di ricominciare a scrivere, dalla punto del pennino, staccavano anche il pennino dalla cannuccia per toglierli meglio, avevano sempre le dita tutte nere di inchiostro. Si scambiavano i pennini, tirandoli fuori dalle loro scatoline. Ce n'erano di rame, d'acciaio, dorati, e avevano molte forme: a torre, a lancia, a bastoncino... Ogni bambino aveva le sue preferenze. Si chiamavano proprio così: la torre, la lancia, il bastoncino... Andavano dal cartolaio e gli dicevano mi dia una lancia, oppure tre bastoncini, due torri... E il cartolaio andava a prendere la scatolina giusta. Bidello, bidello! E' finito l'inchiostro! chiamavano dalle aule, con quelle loro vocine. E io correvo... ALoora ero il bidello della mattina, quando sono entrato qui. Be', insomma, diciamola tutta... quando ero vivo. 

PAG.141
"Chissà se il cielo ha sopra di sé un altro cielo?"  

PAG.143
Certe volte penso che non ci siano più dei vivi, nel resto del mondo. Ma ce ne sono. Perché oggi pomeriggio, mentre c'era ancora luce, alzando all'improvviso gli occhi, ho visto che l'azzurro terso era attraversato da parte a parte da una stricia bianca perfettamente diritta che si allungava nel cielo, tracciata da un aereo così lontano che non se ne sentiva nemmeno il rombo nella vastità dello spazio.  

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