lunedì 26 agosto 2013

TEMPO DI UCCIDERE di Ennio Flaiano

5/5 Trama: In un'Africa spogliata di ogni esotismo e folclore, un tenente dell'esercito italiano vaga alla ricerca di un medico, guidato dal mal di denti. Si allontana dal campo, rimane solo, si perde. E così, per caso, che cominciano le avventure del protagonista di "Tempo di uccidere", indubbiamente il capolavoro di Ennio Flaiano. Un susseguirsi di casi fortuiti e banali crea le condizioni per le avventure del protagonista, un antieroe solitario che del caso diventa prigioniero e schiavo, tanto da arrivare a credere che la propria storia non sia nient'altro che il compiersi di un destino prescritto. Perché alla fine, in qualche modo, da ogni circostanza sembra scaturirne un'altra: un incidente, l'incontro con Miriam, l'amore, lo spettro di un omicidio e quello della lebbra. Tutto appare concatenato, tutto concorre a trascinarlo in una cupa crisi esistenziale.

A volte succede che un libro ti cada tra le mani perché vuole essere letto, ed è esattamente il momento giusto, non prima e non dopo, ma ora!
Così è successo.
Questa lettura si colloca dopo *La materia oscura*, isolamento nell'artico. Qui siamo al caldo dell'Africa ma il concetto è quasi lo stesso, anche se il protagonista non è proprio solo del tutto, ma è solo con se stesso, in un luogo che non è casa, e con le sue paranoie.
Nella mia mente (sempre rispetto al libro precedente) ho cambiato l'ambientazione ma la sensazione è stata la stessa, continuavo a pensare che stare soli lontani da casa, in un ambiente estremo, sia esso l'artico o l'equatore, sia per studi o per la guerra in Abissinia, crea uno scompenso a livello mentale. A me non dispiace stare sola, ma sola come lo intendo io è starmene a casa in pace, fuggendo dalla gente. Non proprio il trovarmi lontano e senza riferimenti familiari. E quindi non sarebbe poi così strano andare via di testa.
L'altra cosa che mi ha fatto venire in mente il libro, visto che il protagonista era veramente in paranoia in certi tratti e ipotizzava e dava per veri fatti che non erano mai successi e che non si sarebbero nemmeno verificati, è stata la mia gioventù. Quando ero ragazzina e avevo paura di chiedere a papà il permesso di andare per es. ad una festa, mi creavo già in testa il dialogo, la negazione, la mia reazione, la spiegazione a chi mi aveva invitato, il dare per scontata la negazione di mio padre ecc.... Alla fine mi ritrovavo un po' come alla fine di questa storia, di fronte al bivio, chiedevo umilmente, e spesso mi sono sentita rispondere SI, e me ne andavo pensando che ero una stupida ad essermi fatta già il mio bel viaggio mentale, era più facile chiedere e accettare quello che arrivava. Lo stesso nel libro, inutile pensare cosa farebbe chi, e perchè e darlo per scontato... in fondo gran parte delle paturnie del protagonista si sono rivelate infondate perchè quasi nulla è andato come prospettato.
Alla fine non so se la morale è che in condizioni estreme la mente parte, e se la mente parte si inventa un sacco di cose inesistenti, non so se tutto questo serve per tenere la mente in allenamento in modo da non gettare anche il corpo, non so se l'argomento guerra in Abissinia sia possibile metterlo sullo stesso piano di qualcos'altro (di più superfluo)...
Ad ogni modo c'è, o meglio c'era, un motivo se un libro vince un premio, e questo lo ha meritato tutto.

Note
PAG.39
Una donna che fugge attira l'inseguitore, anzi lo crea. Istintivamente lei doveva pensare questo e perciò stava ferma aspettando di vedermi proseguire. 

PAG.55
Profonda bellezza di lei nel sonno. Soltanto nel sonno la sua bellezza si rivelava completamente, come se il sonno fosse il suo vero stato e la veglia una tortura qualsiasi. Dormiva, proprio come l'Africa, il sonno caldo e greve della decadenza, il sonno dei grandi imperi mancati che non sorgeranno finché il "signore" non sarà sfinito dalla sua stessa immaginazione e le cose che inventerà non si rivolgeranno contro di lui.
Povero "signore". Allora questa terra si ritroverà come sempre; e il sonno di costei apparirà la più logica delle risposte. 

PAG.76
Come le persone anche i luoghi raggiungono una loro felicità e quella piazza dimenticata e sconnessa esprimeva la pace dei tempi che non tornano. 

PAG.79
Dalla piazza partivano varie strade, una delle quali portava alla chiesa, un edificio che vedevamo in fondo a un cortile, tra due baracche a veranda. Era una vecchia opera del periodo portoghese, nobilmente invecchiata, asimmetrica, in piedi per miracolo, e ci fermammo a osservarla. Quel rivedere dopo tanti mesi una parvenza di edificio costruito non per istinto ma per intelligenza mi dava una gioia profonda, che non sapevo a che legare. 

PAG.203
L'ingegnere e l'indigena, caro dottore, si uccidono scambievolmente e ciascuno col mezzo di cui dispone. L'ingegnere uccide da uomo pratico *che non ha tempo* per verificare un fenomeno già sufficientemente controllato dall'esperienza, e senza chiedersi quali conseguenze porterà il suo atto. L'indigena uccide come uccide la sua terra, *con tutto il tempo*, del quale ha un concetto così sbagliato. 

PAG.236
Mi sentivo talmente indifeso che entrai nella capanna, ma subito ne uscii ancora più inquieto, dicendomi che , dopotutto, preferivo vedere, volevo vedere. E allora ripensa alla curiosità che uccide i soldati in battaglia, quando la paura fa levare le teste, perché tutti vogliono vedere, vedere almeno il nemico, non saperlo là davanti senza poterlo vedere.       

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