venerdì 4 agosto 2017

ACCABADORA di Michela Murgia

Trama 5/5: Perchè maria sia finita a vivere in casa di Bonaria Urrai, è un mistero che a Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno. Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come "l'ultima". Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. "Tutt'a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fili'e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia". Eppure c'è qualcosa in questa vecchia vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi, c'è un'aura misteriosa che l'accompagna, insieme a quell'ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce, e una sapienza quasi millenaria riguardo alle cose della vita e della morte. Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell'accabadora, l'ultima madre.

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Adesso vi confido un segreto... questo è un libro assolutamente insignificante.
Ora vi spiego perché : Questo libro non ha nessun significato se il lettore non ci mette un po' del suo.
Anche così non si capisce?
Ci riprovo: la Murgia ha scritto una storia semplicissima. Ogni paese ha le sue macchiette e le sue tradizioni (più o meno tacite). Qui in Sardegna, nel dopoguerra, c'era l'Accabadora (dallo spagnolo acabar = andare a finire, finire) colei che dispensa l'eutanasia a malati terminali.
L'accabadora ha preso una fillus de anima, una bambina generata due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un'altra. E lei cresce senza sapere che Tzia Bonaria fa questo mestiere di notte, quando non fa la sarta di giorno. Fintanto che un fatto increscioso non la porta a scoprire tutto.
Nega e rifiuta con tutte le sue forze questa tremenda realtà, se ne va, ma la vita la riporta a casa dove capirà cosa intendeva la sua seconda mamma quando le ha detto "non dire: mai, berrò di quest'acqua".
L'eutanasia è un argomento molto scottante in Italia, e parlarne seppur tra le righe di una storia, è un atto di coraggio non da poco.
E quando dicevo che il lettore deve metterci del suo, intendevo che è un libro molto semplice che si può leggere come una semplice narrazione di questa figura sarda, ma se poi noi abbiamo un'opinione in merito, ci metteremo tutte le nostre emozioni, da quelle di appoggio a quelle di rifiuto non importa, ma questo libro letto senza sentimento è a dir poco banale. Ne fa un grande libro quello che noi abbiamo da aggiungerci.
E la Murgia così ci ha proprio fregato.

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PAG.23
Le due donne si separarono in un silenzio reso pesante da una tensione ambivalente: una di loro rimpiangeva di non aver detto abbastanza, proprio dove l'altra era convinta di aver sentito anche troppo.
 
PAG.27
Gli appezzamenti piccoli e irregolari raccontavano di famiglie con troppi figli e nessuna intesa, frantumate in una miriade di confini fatti a muretto a secco, in basalto nero, ciascuno con il suo astio a tenerlo sù.
 
PAG.62
Niente a Soreni era sbeffeggiato e tenuto ai margini quanto uno stupido, perché se l'astuzia, la forza e l'intelligenza si potvano vincere ad armi pari, la stupidità non aveva peggiore nemico di sé stessa, e la sua fontamentale imprevedibilità la rendeva pericolosa negli amici più ancora che nei nemici. Il danno era che in nessuno dei due casi la nomea di stupido si sarebbe potuta accompagnare al rispetto, bene prioritario in un posto dove di beni non ce n'erano poi molti altri.
 
PAG.80
Quando si ha abbastanza tempo anche la rabbia si organizza.

PAG.92
Come gli occhi della civetta, ci sono pensieri che non sopportano la luce piena. Non posso nascere che di notte, dove la loro funzione è la stessa della luna, necessaria a smuovere maree di senso in qualche invisibile altrove dell'anima.

PAG.93
A quindici anni Bonaria era già in grado di capire certe cose, farle o vederle fare è la stessa colpa, e mai da allora le era venuto il dubbio di non essere capace di distinguere tra la pietà e il delitto.

PAG.145
Le colpe, come le persone, iniziano a esistere se qualcuno se ne accorge.
 

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