venerdì 4 agosto 2017

STABAT MATER di Tiziano Scarpa

Trama 2/5: È notte, l'orfanotrofio è immerso nel sonno. Tutte le ragazze dormono, tranne una. Si chiama Cecilia, ha sedici anni. Di giorno suona il violino in chiesa, dietro la fitta grata che impedisce ai fedeli di vedere il volto delle giovani musiciste. Di notte si sente perduta nel buio fondale della solitudine piú assoluta. Ogni notte Cecilia si alza di nascosto e raggiunge il suo posto segreto: scrive alla persona piú intima e piú lontana, la madre che l'ha abbandonata. La musica per lei è un'abitudine come tante, un opaco ripetersi di note. Cosí passa la vita all'Ospedale della Pietà di Venezia, dove le giovani orfane scoprono le sconfinate possibilità dell'arte eppure vivono rinchiuse, strette entro i limiti del decoro e della rigida suddivisione dei ruoli.
Ma un giorno le cose cominciano a cambiare, prima impercettibilmente, poi con forza sempre piú incontenibile, quando arriva un nuovo compositore e insegnante di violino. È un giovane sacerdote, ha il naso grosso e i capelli colore del rame. Il suo nome è Antonio Vivaldi. 

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Prima di scrivere questo commento, ho deciso di fare una piccola ricerca, non solo tra i commenti già presenti nel web di questo libro ma anche su alcune informazioni che potevano darmi un'idea più completa del libro stesso.
La prima cosa che sono andata a cercare è il Premio Strega
http://it.wikipedia.org/wiki/Premio_Strega
tanto per capire (come mi è già capitato ultimamente) su quali basi viene assegnato un premio così prestigioso e perché... e già qui capisco poco.
Partiamo dal presupposto che di quella bella lista di libri a cui è andato tale premio, alcuni li ho letti, altri non li ho letti, altri mi rifiuto di leggerli e i rimanenti mi chiedo ancora perché siano stati premiati. Questo libro di Scarpa, in un primo momento, mi ha fatto nascere la stessa domanda: perché un librettino di 130 pagine, scandito da frasi come fossero degli schiaffi (stile di scrittura che io odio profondamente) e non da una prosa scorrevole, e per giunta una storia secondo me ben poco avvincente, ha vinto questo premio?
Evidentemente anche questa volta mi sfugge qualcosa.
La seconda cosa che sono andata a cercare è il significato di Stabat Mater
http://it.wikipedia.org/wiki/Stabat_Mater
Io non ho mai studiato latino quindi non sapevo precisamente il significato e non essendo neppure una praticante (e tanto meno credente) non sapevo nemmeno che fosse una preghiera che racconta il dolore di Maria per la crocifissione di Gesù (e infatti accompagna spesso la Via Crucis appunto)
Di conseguenza visto che wikipedia offriva una nuova ricerca, ho studiato anche la musica
http://it.wikipedia.org/wiki/Stabat_Mater_(musica)
canto gregoriano, prima abrogato e poi ripristinato e bla bla bla...
Riproposto in musica da vari grandi nomi, tra cui anche il Vivaldi, noto veneziano (nonché Don Antonio nella storia).
Tornando ora al libro, un po' i conti tornano, Scarpa è di Venezia, il libro è ambientato a Venezia, ci sono i violini tra i protagonisti e li senti sempre in sottofondo, Vivaldi è veneziano.
Un connubio di tanti ingredienti che fanno l'ambientazione e la colonna sonora al libro.
E anche il titolo è azzeccato, ma va visto allo specchio, perché più che la sofferenza di una madre direi piuttosto che si tratta della sofferenza di una figlia, che non si spiega il perché dell'abbandono e segretamente scrive delle lettere alla "Signora Madre" che lei non ha mai conosciuto.
Lo stile a frasi secche e separate non è uno stile che apprezzo, anzi proprio non mi piace. Alcune frasi sono veramente taglienti e oserei dire anche eccezionali, però questo non mi ha soddisfatto comunque. Avrei preferito una prosa un po' più fluida, e soprattutto avrei preferito sentire empatia per Cecilia la protagonista. Invece proprio per lo stile ho provato avversione, la storia scorre poco, non riesci a farti piacere nessuno dei protagonisti, e qualche immagine non mi è piaciuta proprio per niente. Forse sarebbe stato il caso anche di inquadrare di più l'ambientazione che solo per deduzione capisci che è Venezia.
In sostanza sembra un po' una scaletta per scrivere un libro anziché un libro vero e proprio.
Mi aspettavo molto di più, ma forse io sono di parte, perché non ho idea di come si possa stare quando si viene abbandonati, quando si cresce in un orfanotrofio, e probabilmente lo stile che è stato scelto nel libro ha l'obiettivo di creare una sorta di disagio e di insoddisfazione nel lettore, tale da dare un'idea del malessere che dimora in queste povere creature abbandonate.
Da quest'ottica sicuramente è un gran libro, ma resto dell'idea che mi aspettavo una sensazione diversa. Perché alla fine questo disagio che mi ha appiccicato addosso, non mi ha certo fatto capire meglio come stanno questi abbandonati, e mi ha fatto provare ancora meno simpatia per loro, pur chiaramente non avendo niente contro di loro.

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PAG.3
Io sono la mia malattia e la mia cura.

PAG.5
Io non sono questo sfacelo, io ce la posso ancora fare, io sono forte, io non voglio lasciarmi sciogliere dentro questo veleno nero, io non sono tutta questa morte che vedo, io non voglio inghiottire questo mare, io non lascerò che tutto questo buio entri dentro di me e mi cancelli.

PAG.9
Ogni mattina, come i fiori, il sole fa sbocciare i volti.

PAG.15
A me piaceva pensare che me lo stessi inventando io, quel poco di luce che c'era, perché anche nel buio più fitto ho scoperto che posso chiudere gli occhi e immaginare la luce, e allora è come se la mia testa si illuminasse da sola, da dentro, in segreto io posso pensare la luce, accendere una luce dentro di me.

PAG.98
Quelle decine di orecchie sedute nei bassifondi della chiesa ci accompagnavano con il loro silenzio, erano parte dell'orchestra. Le teste immerse nell'attenzione musicale sono gli strumenti principali dell'esecuzione. Si suona davvero soltanto in pubblico, non esiste musica senza una folla di orecchie che la sorreggano.

1 commento:

  1. La ringrazio della lettura molto attenta.
    Concordo, è un libro originale, scritto in maniera diversa dal solito, che lascia a chi legge il compito di entrare nel punto di vista della ragazza abbandonata. Come se scoprissimo in un cassetto un fascio di lettere e appunti, senza che nessuno ci spieghi, ci contestualizzi, ci accompagni per mano.
    L'ambientazione è volutamente lasciata nel vago, perché Venezia non è importante in questo caso. Venezia è "pericolosa": si ruba tutta la scena. Qui la scena doveva essere occupata dalla disperazione della protagonista.
    Grazie ancora
    Tiziano Scarpa

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