Trama 4/5: Per anni... ho vissuto con l'orecchio destro schiacciato contro una parete sottile". Fin dall'età di tre anni, il giovane protagonista di queste pagine abita con la madre in un bilocale del centro storico di una città di provincia nel nord Italia. Una casa modesta, che è la frazione di un appartamento ben più vasto e nobile nel quale vive una famiglia numerosa, due genitori e quattro figli che sembrano il ritratto dell'esistenza armoniosa. Dal sottile tramezzo che divide le due abitazioni, e che passa proprio per la sua stanza, il ragazzo sente le voci e i rumori della truppa chiassosa e felice che gli vive accanto: le grida dei saluti, del gioco e dei dispetti delle sorelline, le cartelle sbattute, le corse nel lungo corridoio, e poi gli scambi fra i due genitori, che sembrano costanti confidenze, parole sussurrate da vicino. Ma sono soprattutto le note del pianoforte, magistralmente suonato dalla madre dei quattro ragazzi, una signora bionda che per la famiglia ha rinunciato alla carriera di concertista, a invadere la stanza e il tempo del ragazzo. Lui, che è un tipo solitario, legge molto ma non sa nulla di musica, e quell'ascolto involontario lo emoziona e lo turba fino a sconvolgerlo. Quando poi, per un'improvvisa malattia del marito, la pianista resterà vedova e affronterà gli anni del lutto chiedendo aiuto al suo strumento, il giovane sarà costretto a seguirla in un viaggio attraverso il dolore che gli apparirà tanto irresistibile quanto incomprensibile.
***
E' molto difficile scrivere una recensione a questo libro, perché ha suscitato in me tante emozioni e ho paura di esaltarlo troppo e al tempo stesso di fare una pessima recensione....
Mi concentro....ci provo.
Prima di tutto la narrazione, scorrevole anche se in alcuni tratti il protagonista secondo me divaga un po' troppo e alcune parti del libro sono risultate (a me) mortalmente noiose. Tolte queste senza dubbio un libro eccelso. Non si dilunga troppo su descrizioni se non verso la fine ma comunque non scade mai nella noia, le descrizioni sono necessarie al senso del libro.
Seconda cosa la musica, che mi ha fatto venire in mente un bellissimo ricordo della mia infanzia. Forse in qualche altre libro era venuto fuori questo ricordo, comunque ho sempre adorato il pianoforte e dalla finestra della mia camera nella casa dove ho abitato fino ai 13 anni, soprattutto d'estate quando era aperta, riuscivo a sentire dalla casa di fronte qualcuno che suonava il pianoforte.
Mi lasciavo rapire dalla musica struggente a volte, più spesso quando pioveva o quando aveva appena finito di piovere, che dentro casa fa caldo e appena smette tu riapri le finestre, e tra gli alberi del giardino filtravano i primi raggi di sole, sentivi le foglie sgocciolare e questi suoni struggenti. Con il sole invece erano suoni freschi e vivaci, allegri che mi facevano stare lì con gli occhi chiusi a sognare di mondi infiniti.
Questo ho fatto mentre leggevo, non c'era il muro che divideva la stanza del protagonista dalla vicina che suonava, c'era la mia finestra aperta sul giardino, c'erano gli alberi e le mie fantasie sul ragazzo che suonava.
La terza e ultima cosa il lutto, non facile per me da affrontare. Fino a due anni fa, quando ho perso mio papà, non mi ero resa conto che la maggior parte della mia vita si fondava su un vuoto, nel caso del protagonista il suo vuoto era il papà che mancava, nel mio caso invece era la me stessa che mancava all'ombra di un papà dalla personalità forte. Il vuoto da colmare mi ha accompagnato per tutta la vita, fintanto che affrontando il vuoto rimasto non ho scoperto di avere già un vuoto precedente. Lo riempivo con la mia immaginazione, con la mia fantasia, e al tempo stesso respingevo tutto e tutti per non rovinare quei mondi fantastici e irreali che secondo me rendevano la mia vita perfetta. Leggerlo tra le righe è stato un continuo essere schiaffeggiata, fintanto che non ho preso coscienza che da quando ho visto il vuoto, ho imparato a conoscerlo, ho imparato a riempirlo di cose nuove, ho scoperto che da parecchi mesi non sogno più i mondi infiniti e fantastici che prima mi accompagnavano. Ho smesso completamente di farlo. Il che non significa che non ho più immaginazione, semplicemente ce l'ho come una persona normale e piena.
Sembrerà brutto, perché lo è, ma a volte dal lutto può nascere qualcosa di nuovo e inaspettato.
Leggerlo tra le righe è stato un viaggio nella mia vita, a tratti piacevole a tratti doloroso, ma che dovevo fare, dovevo vedere scritte certe cose per sapere che non erano solo mie sensazioni.
Credo di poterlo definire un libro grandioso, ma forse perché l'ho letto con i miei occhi e il mio cuore.
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Mi concentro....ci provo.
Prima di tutto la narrazione, scorrevole anche se in alcuni tratti il protagonista secondo me divaga un po' troppo e alcune parti del libro sono risultate (a me) mortalmente noiose. Tolte queste senza dubbio un libro eccelso. Non si dilunga troppo su descrizioni se non verso la fine ma comunque non scade mai nella noia, le descrizioni sono necessarie al senso del libro.
Seconda cosa la musica, che mi ha fatto venire in mente un bellissimo ricordo della mia infanzia. Forse in qualche altre libro era venuto fuori questo ricordo, comunque ho sempre adorato il pianoforte e dalla finestra della mia camera nella casa dove ho abitato fino ai 13 anni, soprattutto d'estate quando era aperta, riuscivo a sentire dalla casa di fronte qualcuno che suonava il pianoforte.
Mi lasciavo rapire dalla musica struggente a volte, più spesso quando pioveva o quando aveva appena finito di piovere, che dentro casa fa caldo e appena smette tu riapri le finestre, e tra gli alberi del giardino filtravano i primi raggi di sole, sentivi le foglie sgocciolare e questi suoni struggenti. Con il sole invece erano suoni freschi e vivaci, allegri che mi facevano stare lì con gli occhi chiusi a sognare di mondi infiniti.
Questo ho fatto mentre leggevo, non c'era il muro che divideva la stanza del protagonista dalla vicina che suonava, c'era la mia finestra aperta sul giardino, c'erano gli alberi e le mie fantasie sul ragazzo che suonava.
La terza e ultima cosa il lutto, non facile per me da affrontare. Fino a due anni fa, quando ho perso mio papà, non mi ero resa conto che la maggior parte della mia vita si fondava su un vuoto, nel caso del protagonista il suo vuoto era il papà che mancava, nel mio caso invece era la me stessa che mancava all'ombra di un papà dalla personalità forte. Il vuoto da colmare mi ha accompagnato per tutta la vita, fintanto che affrontando il vuoto rimasto non ho scoperto di avere già un vuoto precedente. Lo riempivo con la mia immaginazione, con la mia fantasia, e al tempo stesso respingevo tutto e tutti per non rovinare quei mondi fantastici e irreali che secondo me rendevano la mia vita perfetta. Leggerlo tra le righe è stato un continuo essere schiaffeggiata, fintanto che non ho preso coscienza che da quando ho visto il vuoto, ho imparato a conoscerlo, ho imparato a riempirlo di cose nuove, ho scoperto che da parecchi mesi non sogno più i mondi infiniti e fantastici che prima mi accompagnavano. Ho smesso completamente di farlo. Il che non significa che non ho più immaginazione, semplicemente ce l'ho come una persona normale e piena.
Sembrerà brutto, perché lo è, ma a volte dal lutto può nascere qualcosa di nuovo e inaspettato.
Leggerlo tra le righe è stato un viaggio nella mia vita, a tratti piacevole a tratti doloroso, ma che dovevo fare, dovevo vedere scritte certe cose per sapere che non erano solo mie sensazioni.
Credo di poterlo definire un libro grandioso, ma forse perché l'ho letto con i miei occhi e il mio cuore.
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PAG.24
Quella sera mia madre mi insegnava che i casi della vita, in apparenza così simili fra loro e quasi ripetitivi, sono in realtà unici per ciascun essere umano, diventano la Loro storia. E non abbiamo alcun diritto di stendere il velo del nostro passato sulle storie degli altri, neppure se ci appaiono così contigue alla nostra.
PAG.36
Rinveniamo dal sogno a occhi aperti, il solito sogno in cui immaginiamo di poter riavvolgere il filo della nostra vita per risalire a quello snodo, a quel bivio che si è rivelato cruciale e lì prendere l'altra strada, ecco, riemergiamo da questo stupido gioco e scopriamo che si è fatto tardi: che la consolazione di un attimo ci ha bruciato un'ora, questo è stato il suo costo, e sarà sempre peggio, perché solo l'attesa del futuro sa rallentare il tempo, e dunque non il pensiero di noi, che pesca le sue ragioni nel passato.
PAG.50
Mentre la commozione ci appartiene - e dunque è privata, intima, individuale - la grande tristezza è qualcosa cui noi apperteniamo, proprio come si appartiene alla pioggia o a una terra ventosa. Di fronte a essa, e alla forza con la quale da millenni sa soffiare sul mondo, la nostra identità è niente, un pulviscolo volatile che viene ineluttabilmente disperso, sicchè possiamo resisterle solo come esseri viventi, non come persone. Possiamo sostenerla come destino collettivo, ma se la affrontiamo alla stregua di una nostra sorte individuale siamo condannati alla disperazione.
PAG.55
[...] perché ciò che rende il male più digeribile è l'incredulità di fronte a esso, e questa incredulità è tanto più forte quanto più è difficile collocare quel male dentro la nostra storia, trovargli una qualche naturalezza che consenta a ciò che resta della vita di proseguire in modo altrettanto naturale, ferito ma naturale.
PAG.64
Forse scopriremmo che per la stragrande maggioranza l'ottimismo non è fratello della volontà ma dell'accettazione, che per chi non dispone di una notevole dose di autostima è più rasserenante adattarsi alla propria condizione che proporsi di cambiarla, che insomma la nozione di destino continua a essere il più diffuso antidepressivo della storia universale.
PAG.77
Per quanto è dato di sapere a un vivo, quella tomba sarà lì per sempre: e uno va a visitare una lapide non per onorare la memoria di un defunto, cosa che può fare anche guidando l'automobile; no va lì per dare un minuto di tempo reale a una lastra di marmo che è destinata a non averne alcuno se non quello geologico, che è un tempo semplicemente spaventoso perché minaccia di essere anche quello del dolore.
PAG.115
Dannata faccia, sempre fra i piedi. E' la compagna più infida della nostra esistenza e non riusciamo a disfarcene. Per quelle rare volte che ci dà una mano, garantendo la nostra buona fede, ci sono un'infinità di volte in cui ci condanna senz'appello, mostrando una verità che noi non vorremmo negare ma che semplicemente preferiremmo tenere per noi.
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